
di Grazia Biasi
Sono grata alla vita per avermi dato, da piccola e poi da adolescente, catechisti nei cui occhi ho letto la gioia del vangelo: gente dalla fede vivace ma non eccentrica; persone normali, impegnate nel lavoro e nello studio eppure “dedicate” totalmente a noi più piccoli.
Sono stati sacerdoti e religiose (quelli che si dà per scontati) ma soprattutto una inaspettata schiera di educatori mossi dalla fretta di raccontarmi una bella notizia: a volte erano pagine di Bibbia, altre volte storie di Santi, oppure racconti di vita da cui traspariva l’esperienza della misericordia, della carità, della fraternità, ma soprattutto sollecitati dall’entusiasmo di raccontarmi Gesù. Sono grata a tutti loro, dalla lontana mia bisnonna agli ultimi educatori di Azione Cattolica, passando per i catechisti, quelli con la grave responsabilità di raccontarmi e spiegarmi che un pane povero è il corpo di Cristo e che lo Spirito Santo è il suo più grande dono… ma soprattutto dimostrandomi con la loro vita che da quei doni nasce la Chiesa, la bella esperienza di comunità-famiglia.
A tutti loro mi lega una parola: condivisione. E mi confermo nel valore di essa dopo aver letto il Motu proprio di Papa Francesco Antiquum ministerium con cui il Santo Padre istituisce il ministero laicale del catechista riconoscendo a questa figura un particolare, qualificato e curato impegno missionario nell’annuncio della parola di Dio. Si porta ciò che si ha e si vive, si comunica Gesù Cristo condividendone l’esperienza (quella interiore e quella ecclesiale), si accompagna il cammino di fede dei fratelli crescendo insieme nella fede, si educa condividendo la propria narrazione di vita.
La ricchezza del laicato sta nel portare sulle spalle un ricco bagaglio-riserva a cui poter (e saper) alimentarsi, a cui attingere con equilibrio da una completezza di vita coltivata, alimentata, plasmata ogni giorno sul ritmo di un mondo che cambia: sacramenti, esperienza religiosa e di fede, gusti culturali e percorsi di studio, impegni civici e morali, relazioni sociali, tradizione e creatività, uso ed esperienza delle forme di comunicazione completano l’identità di chi risponde a questa speciale vocazione. La chiamo speciale, perché doppia, perché essa si aggiunge generosamente, con ragione e con sentimento, alle risposte che quotidianamente interpellano un laico a dire Sì, a dare la vita e a mettere in gioco se stesso in famiglia, nel lavoro, o in qualunque inaspettato contesto…
Trasmissione della fede, approfondimento, istruzione e formazione permanente… Sono alcuni tra gli impegni e traguardi che il Documento del Papa riconduce alla figura del catechista e alla sua missione, ma ‘condivisione’ mi aiuta ad incarnare nell’immaginario chi deve essere, cosa può fare un catechista laico: frantumare la sua vita e disperderla nel terreno vitale di bambini, ragazzi, adulti (anche le famiglie, seppur protagoniste della vita di fede dei più piccoli non possono essere escluse dalla cura) che gli sono affidati per un impegno finalizzato – per lo sforzo e la preghiera della Comunità di appartenenza del catechista – a formare Cristo nelle coscienze vivendo per primi coraggiosamente la stessa fede di Gesù.
Non è un “posto a cattedra” ma un servizio; non è un merito ma un impegno in più per coloro che sono individuati dall’azione di discernimento del proprio Vescovo; è un gioco allo scoperto sulle regole del Vangelo: a chi molto è dato, tanto di più è richiesto. La gratuità è la misura.
Papa Francesco, prima del Motu proprio in cui chiede formazione e qualificazione per questa figura istituzionalizzata, lo scorso gennaio ritornava sul sogno di Chiesa in uscita, operosa, vitale, capace di reinventarsi ancor di più tra le conseguenze di una pandemia con pensati ricadute sociali. Così si rivolgeva all’Ufficio Catechistico Nazionale anticipando con altre immagini e parole informali la meta alta che contiene Antiquum ministerium: «Questo è il tempo per essere artigiani di comunità aperte che sanno valorizzare i talenti di ciascuno. È il tempo di comunità missionarie, libere e disinteressate, che non cerchino rilevanza e tornaconti, ma percorrano i sentieri della gente del nostro tempo, chinandosi su chi è al margine. È il tempo di comunità che guardino negli occhi i giovani delusi, che accolgano i forestieri e diano speranza agli sfiduciati. È il tempo di comunità che dialoghino senza paura con chi ha idee diverse. È il tempo di comunità che, come il Buon Samaritano, sappiano farsi prossime a chi è ferito dalla vita, per fasciarne le piaghe con compassione» (Città del Vaticano, 30 gennaio 2021).
Adesso chiede di più portando alla nostra attenzione l’attualità della Chiesa che in ogni epoca, leggendo i segni dei tempi si è pre-occupata di portare Cristo e farlo conoscere e renderlo esperienza; lo sguardo globale di Francesco è sull’intera storia dell’evangelizzazione di questi due millenni (AM, n.3) e di come in essa sia stata inserita e letta, in un crescendo di responsabilità la figura del catechista. Ai documenti del Concilio Vaticano II sul fondamentale valore dell’impegno laicale nella Chiesa, oggi il Pontefice aggiunge il contributo di frequenti confronti globali (il mondo è la famiglia di Francesco!) che più facilmente ci permettono di pesare e valutare il Motu proprio da cui si attendono successive decisioni nella Chiesa per la sua applicazione. Il Sinodo sull’Amazzonia del 2019 ci ha ricordato che lì dove cresce la popolazione, ma le vocazioni sacerdotali e religiose non sono sufficienti, toccherà ai laici (ma già avviene) assumere un ministero a nome della Chiesa universale; la missione ad gentes trova con Francesco una ulteriore definizione di quanto già avviene da secoli lì dove il Vangelo si fida delle gambe, delle mani, dell’intelligenza di centinaia di fedeli laici riconosciuti per autorità e amati nel loro ruolo; ce lo ricorda in un recente articolo don Luciano Meddi – docente ordinario di catechetica missionaria alla Pontificia Università Urbaniana – per l’Agenzia Fides: “dalle periferie della Chiesa viene infatti il modello delle piccole comunità missionarie inserite nella vita quotidiana. In esse «il Catechista è nello stesso tempo testimone della fede, maestro e mistagogo, accompagnatore e pedagogo che istruisce a nome della Chiesa» (AM, n. 6)”.
In questo contesto è più facile la lettura del ministero istituito che che non sostituisce la tradizionale figura del catechista, ma rafforza il servizio missionario della Chiesa.
E se l’Amazzonia non fosse così lontana? Se il calo delle vocazioni sacerdotali è ormai un dato consolidato anche nel nostro Paese Italia, confortano i numeri dei catechisti che nel mondo hanno superato i 3milioni (Annuario statistico della Chiesa, 2019) e dimostrano che le vie del Signore non sono quelle degli uomini… e che la creatività di Dio ci supera. Da sempre.
Poche settimane fa, il nostro Vescovo mons. Giacomo Cirulli, commentando la Sacra scrittura in occasione dell’istituzione di un Accolito, con serenità e tanta gratitudine spiegava alla comunità parrocchiale che assisteva alla celebrazione che “questi segni (la chiamata di un laico e la sua risposta, nda) confermano che Dio non è stanco, ma che trova sempre nuove strade per raggiungere il cuore dell’uomo e abitare in esso”.
Papa Francesco e il nuovo Ministero laicale del Catechista